Valore della marca, valore del marchio, patrimonio di marca, valore del brand, brand equity: sono tante le espressioni che il marketing usa per descrivere lo stesso concetto. Ma qual è esattamente il loro significato?

Andiamo per ordine e cerchiamo di chiarire i termini d’uso comune.
Il marchio è il dispositivo visivo che rappresenta la marca rendendola “fisica” attraverso elementi quali il naming, il logo, i colori e i simboli.
La marca, invece, è qualcosa di puramente astratto: è un’idea, è l’essenza concettuale che si fa strada nella mente dei consumatori.

Ma perché la marca ha valore e può fare la differenza per il nostro business?

Il valore del marchio

Sono due i concetti economici attraverso i quali diamo significato al nostro prodotto o servizio:

  • il valore d’uso, che rappresenta la funzionalità della merce. (L’automobile ci permette di spostarci liberamente, un profumo ci regala il piacere di una fresca fragranza per qualche ora.)
  • il valore di scambio, nient’altro che il prezzo d’acquisto

In passato, quando la concorrenza era quasi inesistente, questi erano gli unici due valori che importavano, e la pubblicità si adattava di conseguenza.
Fino agli anni settanta, infatti, le imprese focalizzavano l’attenzione in particolare sul prodotto mentre il marchio era soltanto un nome o poco più.
Con la globalizzazione e l’entrata in campo di un numero sempre maggiore di competitor è nata anche l’esigenza di differenziarsi. Quante volte, ad esempio, abbiamo sentito l’infelice espressione “una marca vale l’altra”? Ciò accade perché molto spesso la qualità del prodotto o servizio viene data per scontata e non c’è quel qualcosa in più, quel valore aggiunto che influenza drasticamente le nostre scelte d’acquisto.
Come fare, quindi, ad entrare nelle grazie dei consumatori?

È qui che entra in gioco il brand perché permette di fare la differenza: ci distingue dai concorrenti ed aggiunge valore all’offerta.

Dagli anni ottanta fino a i giorni nostri, l’uomo ha imparato a definire se stesso attraverso gli articoli di marca di cui si circonda e quindi sceglie un particolare brand piuttosto che un altro per definire chi è.
Ogni marca di successo, infatti, sa evocare un determinato modo di vivere e dei valori che la rappresentano. Pensando a Nike, ad esempio, associamo concetti di forza e coraggio, mentre con Barilla diventiamo più teneri e ci immaginiamo una famiglia che si riunisce per il pranzo domenicale.

Brand personality

Fare brand nel terzo millennio non significa più convincere il consumatore a comprare un determinato prodotto rispetto ad un altro. L’arte della persuasione non funziona più come un tempo. Si deve fare di più, si deve riuscire ad evocare una percezione.
Il primo passo in questa direzione è decidere quale personalità deve avere la marca, ovvero quell’immaginario che si intende costruire attorno al brand e che lo accompagnerà per sempre.
La personalità della marca è una cosa seria: si devono avere ben chiari i valori in cui credere e non ci si deve concentrare troppo sul prodotto. Il brand deve avere vita autonoma, proprio come fosse una persona in carne e ossa.
Le persone hanno la tendenza ad attribuire alle marche tratti che si avvicinano alla personalità umana e infatti sono predisposte a scegliere il brand che più si avvicina alla loro immagine o a quella che vorrebbero comunicare.

GLI ARCHETIPI E LA PERSONALITÀ DELLA MARCA

Nel nostro blog abbiamo dato ampio spazio all’argomento archetipi proprio perché l’antropomoformizzazione del brand è una strategia di sempre maggior successo.
Gli archetipi sono 12 e rappresentano dei modelli comportamentali profondamente radicati nella natura umana tanto che li ritroviamo nelle mitologie, nelle religioni e nella fiabe di tutte le culture.
Nel marketing e nella pubblicità tornano utili per dare un “volto” al marchio ed aiutare il consumatore ad identificarsi con esso.
Non è un caso, quindi, che le aziende di maggior successo si siano affidate agli archetipi per coinvolgere e “sedurre” il consumatore. Il prestigio e l’esperienza di Rolex, quindi, lo rendono un brand Governante; la giocosità e l’allegria di M&M’s sono tipiche del Giullare; la curiosità e l’audacia di Jeep o Starbucks sono le stesse dell’Esploratore, e così via…

Il valore percepito

In una società dove i bisogni primari vengono ampiamente soddisfatti, dobbiamo imparare a guardare a quelle necessità intangibili chiamate desideri.

La competizione si sposta sul valore che il consumatore soggettivamente assegna al singolo prodotto:

Le differenze e l’appeal della singola marca stanno in quel nonsochè difficile da definire ma facile da percepire che viene comunemente chiamato immagine

Annamaria Testa, La parola immaginata

Quando l’immagine è forte e ben definita sa generare il cosiddetto valore percepito.

Prendiamo, ad esempio, lo stesso prodotto – un paio di jeans -di due diverse marche: Armani e Levi’s. La prima è facilmente associabile all’idea di successo, benessere economico oltre che al Made in Italy e alla seduzione. Se invece acquistiamo un paio di jeans Levi’s siamo più attratti dai significati che scaturiscono da questa determinata marca: la libertà, l’avventura, gli ampi spazi del continente americano, gli Stati Uniti in particolare e i cowboy che tanto hanno ispirato il marchio
Il risultato di quest’analisi sono due immagini diverse per lo stesso oggetto.
L’immagine cambia ma la sostanza è sempre la stessa.

Packaging e brand image

Il riso Originario Carosio è prodotto dalla Scotti

Sono infiniti i casi in cui un unico oggetto può generare immagini multiple: pensiamo ad esempio di dover vendere un profumo maschile. Se decidiamo di metterlo dentro ad un flacone nero esagonale in cui risaltano gli spigoli dorati e ci scriviamo sopra a grandi lettere “SUPERIOR”, riusciremo a creare un’immagine forte, robusta e aggressiva.
Se invece lo inseriamo in un contenitore cilindrico di vetro satinato e aggiungiamo una scritta in corsivo come “Manhattan” il risultato sarà qualcosa di molto più elegante e raffinato. 
L’odore è lo stesso, ma i profumi sono due, ognuno con la propria immagine, la propria campagna pubblicitaria e destinato ad un target preciso.

Non può stupire, dunque, se negli scaffali dei supermercati e dei discount si trovino, sotto mentite spoglie, prodotti di marca. I biscotti col marchio Esselunga altro non sono che un prodotto firmato Galbusera, i grissini che troviamo al Lidl a guardar bene sono della linea GrissinBon o, ancora, a fornire il Conad di colombe e panettoni sono Bauli e Paluani.

Quali sono le differenze tra i prodotti sopracitati e gli stessi venduti con un diverso marchio?
Non la qualità – che evidentemente è uguale – bensì il prezzo e la pubblicità.  Meglio ancora, si può dire che una brand image forte permette di vendere a un costo più alto: non è più il prodotto ad essere venduto, ma un mondo fatto di valori, storie e persone.

Il compito della comunicazione è proprio quello di costruire una narrazione creativa attorno a questi aspetti emozionali del brand.

Il design è parte del prodotto

Una volta chiarito il concetto per cui non si vende più il mero prodotto ma ciò che esso rappresenta, appare logico e consequenziale come il design sia parte integrante del prodotto stesso.

Proprio come sosteneva già nel 1967 Louis Cheskin – ricercatore, psicologo e innovatore di marketing – gli acquirenti non percepiscono una separazione tra packaging e prodotto, e trasferiscono le sensazioni date dalla confezione sul prodotto stesso.

Nel tempo questa tesi è stata confermata e perfino allargata a nuovi ambiti di comunicazione.
Pensiamo ad esempio al sito aziendale: la sua interfaccia altro non è che il packaging virtuale del prodotto o servizio offerto.

Sia che ci troviamo di fronte agli scaffali del supermercato, sia che navighiamo da casa comodamente seduti sul divano, le nostre scelte vengono ampiamente condizionate dalla grafica e dall’estetica. Prima ancora di vedere e scoprire il prodotto ci imbattiamo nel design, vero e proprio ambasciatore del marchio, e da esso ci facciamo sedurre. Ne abbiamo parlato anche in un altro articolo.

La fedeltà alla marca

Un buon prodotto di qualità, se accompagnato da un alto grado di riconoscibilità, influisce sulla fedeltà alla marca che è l’aspetto più forte del valore del brand. 

Le banane che compriamo sulle bancarelle del mercato hanno un’immagine diversa rispetto a quelle prese al supermercato: probabilmente ci sembrano più fresche o più saporite. Se poi noi, a quelle stesse banane, applichiamo un bollino blu e lanciamo delle campagne pubblicitarie mirate, l’immagine cambia nuovamente.
A questo punto il consumatore sa che il prodotto in questione è buono ancora prima di assaggiarlo. Lo compra a scatola chiusa perchè non si tratta di una banana qualsiasi: la può chiamare per nome. La garanzia della marca ci fa presupporre che la merce sia di buona qualità a prescindere, ed è così che si sviluppa la fedeltà alla marca.

Ad ognuno il suo prezzo

Dalle argomentazioni sopra riportate è facile intuire come lo stesso identico prodotto/servizio possa, potenzialmente, essere venduto a prezzi estremamente diversi a seconda della nostra abilità a creare un minore o maggiore valore percepito nella mente dei consumatori: è il valore della marca a darci il potere di determinare prezzi più alti rispetto ai competitor.
Il consumatore infatti è portato a valutare il costo di un prodotto in base alla sua immagine ed è grazie a questa logica intrinseca che tende a pagare di più per un determinato articolo piuttosto che un altro.
Il discorso non vale solo per i brand di lusso o per i marchi di maggior successo: anche nelle piccole attività artigianali il cliente si lascia facilmente influenzare dalla nostra brand image ed è predisposto a dare un valore maggiore all’immagine migliore. 
Quando logo e grafica sono dozzinali, il cliente penserà di acquistare un prodotto o servizio a buon mercato. Se, al contrario, l’immagine della marca è curata, moderna ed elegante, il pubblico si aspetta di spendere cifre più alte.

Il caso Apple

Da un’indagine condotta da Kantar, azienda leader a livello mondiale nel settore dei dati, Apple è al primo posto nella classifica 2022 dei marchi globali di maggior valore.
Se torniamo indietro nel tempo, più o meno nel primo decennio del secolo in corso, la mela morsicata valeva addirittura meno del brand Samsung.

Dal 2012 in poi, tuttavia, Apple ha accelerato la sua corsa fino a raggiungere la vetta della graduatoria. I fattori che hanno permesso questa formidabile svolta sono stati i notevoli risultati finanziari e, non di meno, il suo ottimo patrimonio di marca.

L’azienda fondata da Steve Jobs detiene i prezzi più alti rispetto alla concorrenza. La qualità dei prodotti è indubbiamente elevata, ma presenta altresì delle imperfezioni proprio come in quelli dei competitor. Come giustifica, quindi, costi d’acquisto così alti?


La risposta è sempre la stessa: grazie alla brand equity costruita sulla base di una forte personalità di marca ed alla community che gira intorno ad essa.

Negli anni, infatti, Apple ha speso tempo e denaro per costruire la sua immagine di brand innovatore, in cui le persone più creative e all’avanguardia possono identificarsi.
È nato infatti un vero e proprio gruppo di sostenitori che non si limita solo ad apprezzare il marchio acquistandone i prodotti, ma ne fa quasi un culto.

Prima di Apple, inoltre, la tecnologia era prettamente funzionale e quasi mai associata all’estetica. Con l’avvento dei dispositivi marchiati con la mela, invece, il design diventa uno dei punti forti del business e la bellezza tecnologica inizia a far tendenza.

LE AZIENDE SONO COME LE PERSONE

L’esperto di branding Walter Landor (1913-1995) diceva:

“I prodotti vengono fatti nelle fabbriche, ma i brand vengono creati nella mente”

È proprio questo il punto cruciale su cui dobbiamo dirigere i nostri sforzi nella comunicazione col cliente.
Il focus si sposta dal prodotto al consumatore e così anche l’azienda deve sapersi introdurre al pubblico con la sua personalità, le sue attitudini ed il suo personale modo di essere.

Qual è, dunque, lo stile con cui vuoi che il tuo business si presenti al mondo?

Lo studio Pasquariello può aiutarti in questo percorso di trasformazione: da azienda a… Brand.